Ci sono momenti in cui un ragazzo sembra perdere fiducia in sé: si chiude, diventa ipercritico, rinuncia a provare cose nuove.

A volte si tratta di fasi normali della crescita, altre volte invece questi comportamenti sono indizi di una autostima fragile, un terreno su cui possono attecchire ansia, isolamento o vulnerabilità al bullismo. Riconoscere i segnali non significa “etichettare” un giovane, ma offrirgli la possibilità di essere compreso prima che il disagio diventi più profondo.
L’autostima, infatti, non è un ingrediente fisso del carattere: cambia, si modella, risente delle esperienze. Un commento pungente sui social, un’insufficienza vissuta come fallimento personale, un periodo di forte confronto con i coetanei possono bastare per incrinare la percezione che un adolescente ha di sé. È per questo che adulti, educatori e genitori devono imparare a cogliere certi segnali sottili, spesso nascosti dietro comportamenti che sembrano solo “timidezza” o “svogliatezza”.
I segnali più comuni di un’autostima che si sta indebolendo
Uno dei campanelli d’allarme più frequenti è la tendenza a svalutarsi. Un ragazzo con autostima fragile spesso pronuncia frasi come “Tanto sbaglio sempre”, “Non sono bravo come gli altri”, “Per me non c’è speranza”. Non si tratta solo di sfoghi: è un dialogo interno negativo che si ripete ogni giorno. Basta una piccola difficoltà perché tutto diventi, ai suoi occhi, la prova di un’incapacità generale. Dopo una verifica andata male, invece di dirsi “Studierò meglio la prossima volta”, il ragazzo conclude “Sono stupido, non servirà a niente impegnarmi”.
Un altro segnale riguarda il bisogno di rassicurazioni continue. Chiedere conferme sporadicamente è normale; farlo in modo insistente è diverso. Alcuni ragazzi domandano più volte al giorno se hanno fatto bene, se qualcuno è arrabbiato con loro, se si sono comportati nel modo giusto. Hanno paura di sbagliare perché temono che un singolo errore definisca il loro valore. Esempio: un adolescente che, dopo aver inviato un semplice messaggio in una chat, chiede a un amico di controllarlo per vedere se “suona stupido”.
La paura delle sfide è un sintomo da osservare. Chi non si sente all’altezza evita tutto ciò che lo espone: interrogazioni, sport, attività nuove, perfino giochi di gruppo. Non è pigrizia, ma timore del giudizio. Per esempio, una ragazza che ama disegnare può decidere di non partecipare a un concorso scolastico perché teme di non essere “abbastanza brava”.
Molti adolescenti con autostima bassa reagiscono male anche a critiche lievi. Un’osservazione sull’impegno scolastico o una battuta innocente possono essere percepite come un attacco. Tutto viene ingigantito perché la base di sicurezza interna è fragile.
Infine, c’è il confronto costante con gli altri. Con l’esposizione ai social questo fenomeno è esploso: i ragazzi confrontano i propri successi, il corpo, le amicizie, le vacanze con immagini filtrate e selezionate. Ne escono quasi sempre perdenti, perché si paragonano a versioni perfette e irraggiungibili dei coetanei. Un esempio comune: un adolescente che cancella una foto dopo pochi minuti perché “ha preso pochi like”.
Quando intervenire e come aiutare davvero
Capire quando preoccuparsi è fondamentale. Non basta un giorno storto o un periodo complicato: la vera autostima fragile si riconosce dalla frequenza dei segnali e da quanto condizionano la vita quotidiana. Se un ragazzo smette di partecipare, si isola, rifiuta opportunità o vive costantemente con la paura di sbagliare, è il momento di intervenire.
La prima forma di aiuto è l’ascolto. Non servono frasi come “Dai, non pensarci”, che spesso fanno sentire incompresi. Serve invece uno spazio in cui il ragazzo possa raccontarsi senza timore di essere giudicato. Nei casi più delicati, anche un adulto fidato , un insegnante, allenatore, parente, può fare la differenza semplicemente riconoscendo le sue emozioni.
Un passo successivo è quello di creare occasioni di piccoli successi. Non grandi imprese, ma attività concrete in cui il ragazzo possa sperimentare competenza e soddisfazione. Questo costruisce lentamente un senso di efficacia personale. Un esempio: proporre obiettivi molto semplici, come completare un progetto creativo, cucinare qualcosa da soli, preparare una presentazione su un argomento che appassiona.
Infine, quando l’insicurezza genera ansia, isolamento o forte sofferenza, è indispensabile coinvolgere un professionista. Uno psicologo può aiutare il giovane a ristrutturare il proprio dialogo interno, affrontare esperienze negative e imparare strategie per sentirsi più sicuro.
Un’autostima fragile non è un’etichetta, ma un segnale prezioso da prendere sul serio. Intervenire non significa correggere, ma accompagnare: aiutare un ragazzo a vedere ciò che vale, a percepirsi in modo più gentile e realistico, a non confondere le proprie difficoltà con la propria identità. Quando un giovane impara a credere in sé, anche solo un po’ di più, cambia il modo in cui guarda il mondo e soprattutto il modo in cui guarda se stesso.




